36^ Aerobrigata I.S. - 4. Il Missile
Il PGM-19 Jupiter era un a medio raggio, ovvero tra i 1000 e i 5500 km, con testata termonucleare, prodotto dalla Chrysler che aveva già sviluppato il PGM-11 Redstone, basato sulla tecnologia della V2. La nuova arma era molto più ambiziosa, e verteva ancora su tecnologie largamente attinte dalle armi tedesche. La nascita del missile ebbe luogo, concettualmente, nel, da parte della Ballistic Missile Agency dell'esercito statunitense, all'arsenale di Redstone, che richiese un missile dotato della maggiore gittata possibile. Essa era la estrema estensione della tecnologia base della V2 anche se la forma era non più a "ghianda" ma cilindrica allungata, anche perché la gran parte del volo sarebbe stata oltre l'atmosfera. Il missile che risultò doveva molto anche alle esperienze del PGM-11 Redstone, di cui costituiva sostanzialmente un'evoluzione, ma esso era più corto nonostante un peso maggiore dell'80%. Infatti, il diametro era nettamente maggiore. Questo fatto era dovuto allo sviluppo di un programma per i sottomarini della Marina, che voleva un Redstone navalizzato e potenziato, con la necessità di avere una lunghezza minore e quindi una maggiore compattezza. Questo fatto si ripercosse anche sullo Jupiter definitivo dell'Esercito. Il serbatoio era una struttura particolarmente notevole, realizzata saldando insieme estrusi laminati di alluminio. Sotto la base piatta del serbatoio vi era il motore, che era molto più potente di quanto fino ad allora realizzato. Esso sviluppava una potenza doppia rispetto a quella del Redstone, dando un migliore rapporto potenza-peso, che assieme alla maggiore quantità di carburante dava una gittata molto superiore, di un ordine di grandezza. La struttura del motore era non solo potente, ma il suo ugello, in sospensione cardanica, era capace di orientarsi in tutte le direzioni, perché i deflettori in grafite prima usati non erano altrettanto efficienti data la potenza del motore, forse troppo elevata per essere così controllata. Le variazioni di assetto trasversale erano ottenute dall'orientazione degli ugelli di scarico della turbopompa.
La velocità, regolabile anche con un motore a razzo sistemato sull'ogiva, era elevata, e al rientro era necessaria la presenza di uno scudo termico per non essere distrutto dal calore dell'attrito a oltre 12000 km/h. La testata era una potente bomba all'idrogeno. Il sistema, nato per l'Esercito, era caratterizzato da un'eccellente mobilità, in maniera similare a quella di armi sovietiche equivalenti. Esso veniva trainato da un autocarro pesante, parte di un convoglio di almeno 20 veicoli, poi veniva eretto, mentre un riparo a petalo proteggeva la parte inferiore dell'arma durante le operazioni di trasporto e rifornimento. Tuttavia, in base al Protocollo di Wilson, del novembre 1957, si era stabilito che l'US Army non avesse armi di oltre 322km (200 miglia terrestri), così l'arma, lanciata per la prima volta nel primo marzo di quell'anno, passò all'Aeronautica, per cui tutta la tecnologia sviluppata per la mobilità non ebbe più molta importanza, allorché l'arma si ritrovò in silos fissi come il Douglas Thor sviluppato per l'USAF. Secondo altre fonti, invece, l'arma continuò ad essere mobile e quindi molto pericolosa, perché non attaccabile preventivamente. Vi erano anche altri motivi per cui, rispetto al modello sviluppato specificatamente per l'USAF, l'IRBM Jupiter era migliore, come il fatto di avere una struttura di protezione antitermica che rendeva possibile viaggiare attraverso l'atmosfera a velocità maggiori, subendo meno il vento trasversale e ottenendo una maggiore precisione, per quanto, all'epoca, non era in nessun caso tanto elevata. A tutto ciò si aggiunge che il missile Jupiter aveva una maggiore gittata e un record significativo, essendo il primo IRBM entrato operativo al mondo. L'USAF, in sostanza, fu costretta ad accettare un dispositivo certamente migliore e più economico del proprio sistema.
Lo Jupiter divenne operativo con l'USAF come SM-78, poi PG-19A. I gruppi missili 864 e 865 portarono, a partire dal 1960 30 missili l'uno in Italia (dove fu costituita un'unità apposita, la 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica) e Turchia, le cui Aeronautiche vennero coinvolte ed addestrate all'uso di questi ordigni nucleari. Questa minaccia fu sufficientemente sentita, che arrivò a provocare la Crisi dei missili di Cuba del 1962, quando i sovietici resero pariglia con i missili SS-3 e SS-4 puntati dall'Isola di Cuba. I missili Jupiter vennero così ritirati dal servizio nel 1963, quando il deterrente a medio raggio passò ai missili balistici Polaris sublanciati, che strapparono il ruolo di deterrente nucleare a medio raggio anche all'USAF, dopo che questa l'aveva tolto dall'Esercito. L'arma venne prodotta in circa 100 esemplari, ma non ebbe più servizio dal 1965, appena 8 anni dopo l'introduzione in servizio. Dal Jupiter derivò il razzo vettore Juno II, utilizzato dal 1958 al 1961 per il lancio di satelliti artificiali.
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