Verona - Disastro Aereo 1919
Sabato 2 agosto 1919, un Caproni ca.48, denominato Berlina, versione civile
del triplano da Guerra Ca.600, decollò dall’aeroporto di Taliedo (Milano) ai
comandi del ten. Luigi Ridolfi e del ten. Marco Resnati , alle ore 7,30 con
destinazione Venezia S.Nicolò per un volo passeggeri sperimentale.
Regolarmente giunto sullo scalo lagunare alle 9,22, ridecollò alle 17,00 per
il viaggio di ritorno. Testimoni oculari riferirono di aver visto il grosso
velivolo, al traverso dell’aeroporto di Tombetta di Verona volante ad una
quota di circa 900 metri. Le ali del velivolo dappriMa furono viste
flettersi e poi distaccarsi completamente. Prima dell’impatto sul terreno
furono viste alcuni dei passeggeri lanciarsi nel vuoto.
Non ci furono superstiti. Il
grosso velivolo cadde proprio all’esterno di Porta Palio, circa 500 metri a
nord dell’aeroporto scaligero. Nel disastro perì anche Tullio Morgagni il
più importante giornalista aeronautico dell’epoca. L’incidente confermò le
inascoltate previsione di alcuni esperti come Agostini, che consideravano i
velivoli reduci dalla guerra totalmente inaffidabili per il servizio in
tempo di pace. L’incidente di Verona ha probabilmente troncato sul nascere
lo sviluppo dell’aviazione civile italiana, che avrebbe iniziato i voli solo
sette anni più tardi. Il Caproni Ca.48 fu sviluppato dopo l’armistizio
attraverso la conversione del bombardiere triplano Ca.600. La cabina
passeggeri fu realizzata in mezzi ai due travi di coda ed era in grado di
ospitare 17 passeggeri. I posti a sedere erano costituiti da due lunghe
panche sistemate lungo le pareti della cabina. La visuale era ottima grazie
ad ampi finestroni. Si accedeva dalla parte frontale della navicella. Altri
sei posti ricavati sul tetto della cabina, facevano il Ca.48 il primo
velivoli passeggeri a due piani del mondo. Sulla cabina superiore trovava
posto anche l’equipaggio. Velivolo con una apertura alare di 29, 9 metri,
era lungo 13,2 metri, alto 6,30. Con una superficie alare complessiva di 200
mq, pesava a vuoto 4000 kg, (7200 a pieno carico). Propulso da tre motori da
400 Hp ciascuno, poteva viaggiare a 140 km/h. L’Arena del 3 agosto 1919
titola: Un Caproni precipita trascinando nella morte 14 passeggeri. Una
straziante sciagura aviatoria è avvenuta ieri nel cielo di Verona, segnando
nelle tranquille cronache della nostra città un episodio dei più tragici.
Quattordici persone, fra cui colleghi della stampa milanese, hanno trovato
la più orribile morte per un incidente di volo a un grosso e potente
Caproni, che transitava su Verona, e che è venuto a sfracellarsi alle porte
della città. Erano le 17,30 quando nel cielo purissimo e tranquillo fu
sentito ronzare un aeroplano. Malgrado l’altezza presumibile
dell’apparecchio, che alcuni calcolano in 1500, 2000 metri, esso era
visibilissimo, e formò per qualche minuto l’ammirazione di quanti potevano
vederlo. Nei più si era formata la convinzione che il velivolo dovesse
atterrare sul nostro campo di Tombetta, dato che si abbassava, ma dai
sobbalzi si capì poi subito che era invece costretto a una discesa forzata e
che doveva essere disastrosa. Difatti dal velivolo fu vista una lunga e
densa scia di fumo nerastro. A questa fece seguito una lenta pioggia di
pezzi di tela bruciacchiati, ciò che venne a dimostrare che le ali, o parte
di esse, erano in preda alle fiamme. L’apparecchio fu veduto abbassarsi
ancora , con una marcia sempre più tumultuosa, in direzione di Porta Nuova.
Poi, destando un generale senso di raccapriccio, si fece udire una forte
detonazione. L’aeroplano, divisosi in due parti, venne giù a precipizio,
scendendo verticalmente a rotoli, e le sue parti andarono a sprofondarsi nel
terreno, proprio nel vasto parto alla sinistra del ponte sul canale
industriale. Durante la discesa, si vedevano i passeggeri sporgere
dall’apparecchio le braccia, come in atto di cercare protezione, e furono
anche sentite le loro grida disperate”.. .. “I morti erano sparsi per il
prato e sul ciglio del canale. Erano vestiti tutti con la casacca aviatoria,
sotto la quale si vedevano abiti signorili. In serata è giunto l’ing.
Caproni. Le cause sono in via di accertamento. Il supplemento aeronautico
del Secolo Illustrato, Nel Cielo, di cui era direttore Tullio Morgagni, una
delle vittime, scrisse così: “Nessuna parola può rendere adeguatamente la
vasta tragicità della grande catastrofe su cui grava tuttora l’ombra di un
mistero che forse nessuno potrà mai svelare. Contraddittorie, in parte, sono
le testimonianze di coloro che hanno assistito alla terribile caduta; e le
ricerche dei competenti e dei tecnici per stabilirne le cause che rimangono
tuttora nel campo delle ipotesi. La fatale disgrazia avvenne il giorno 2
scorso. Il “Ca.600” che aveva compiuto pochi giorni prima il raid
Milano-Torino e ritorno, e che nella mattinata aveva effettuato felicemente
il viaggio da Milano a Venezia, doveva precipitare sulla rotta del ritorno,
e precisamente all’altezza di Verona. Facevano parte dell’equipaggio, oltre
i piloti Marco Resnati e Luigi Ridolfi, cinque giornalisti milanesi: il
nostro compianto Direttore Tullio Morgagni, Tancredi Zanghieri, del Secolo,
Oreste Cipriani, del Corriere della Sera, Mario Bruni della Sera, Bisi del
Mondo; gli altri passeggeri erano: il tenente Sante Rovida, l’industriale
Giovanni Bernareggi, Carlo Corbetta, Giacono Casiraghi, Luigi Chiesura,
Mario Bertolini, i motoristi Luigi Gascone e Guglielmo Visconti. Verso le
17, fu notata da molti cittadini la caduta dal cielo di larghi brandelli di
tela, che ondeggiavano portati dal vento. Alla prima sensazione di sorpresa
e di stupore succedette immediatamente il presagio di una sciagura aerea. I
sospetti più tristi dovevano purtroppo avverarsi: il grande aeroplano
“Caproni” che era passato al mattino, diretto a Venezia, librandosi
vittoriosamente alto nella limpida atmosfera, era precipitato da un altezza
di oltre mille metri, sfasciandosi, e travolgendo in un turbine di morte la
vita di sedici passeggeri. Alcuni affermano che mentre le parti più fragili
e più leggere si staccavano dall’apparecchio, la carlinga, i tronconi delle
fusoliere e delle ali piombavano a precipizio verso la città, mentre guizzi
di fiamme si sprigionavano dai motori. Tuttavia, la ipotesi di un incendio
venne presto esclusa, essendosi constatato che i rottami di legno e di
tela non recavano alcuna traccia di bruciatura. Dopo alcuni scoppi, uditi da
terra, fu vista un ala del velivolo staccarsi, il corpo dell’apparecchio
precipitare, e i passeggeri cadere successivamente nel vuoto. I resti del
grande biplano si abbatterono in un raggio di 400 metri nei pressi di Porta
Palio, e agli accorsi la tragedia si rivelò nel più terribile aspetto. I
cadaveri dei disgraziati aviatori, martoriati vennero rinvenuti nei luoghi
più diversi; avevano segnato nel terreno un’impronta profonda che ne
accennava nitidamente la linea. Il corpo del nostro povero Direttore (Morgagni,
ndr), veniva tosto riconosciuto, poco discosto dalla massa principale dei
rottami, in mezzo ai quali giacevano, vicinissime, le spoglie dei piloti.
Uno dei passeggeri era caduto nel canale industriale: venne tratto a riva
esanime, da un cittadino. Il corpo del sedicesimo passeggero, tenente
Giannetto Medini, salito a bordo a Venezia, e pure caduto nel canale, non
venne che ripescato che parecchi giorni dopo. Quella di Giannetto Bisi non
venne riconosciuta fra quelli dei caduti; né venne finora ritrovato. La
visione del luogo della catastrofe non poteva offrire un contrasto più
impressionante fra l’aspetto squallido della radura sulla quale gli
sciagurati si erano abbattuti e i resti informi dispersi all’intorno. Sotto
il terrapieno che limita da un lato il macabro campo, si stendeva l’enorme
groviglio dei rottami principali della carlinga, dei tronconi, della coda,
delle fusoliere, delle nervature, del carrello appiattito. Una ruota contro
l’altra, pezzi informi di armature, tutto si presentava raccolto in uno
stretto cerchio. Sull’orlo del terrapieno erano altri ammassi di resti, e ,
sprofondato totalmente nel terreno, uno dei motori, i cui cilindri
figuravano spaccati a metà, come tagliati da una scure gigante. Un secondo
motore, parimenti sprofondato e non diverso nell’apparenza, ha scavato una
buca profonda, dal lato opposto al prato, a forse cento metri di distanza.
Il terzo è finito contro le siepi che limitano il campo, in un prato dietro
le case allineate lungo la strada di Santa Lucia, a circa duecento metri. La
folla, accorsa sul luogo, veniva trattenuta dai carabinieri. Poche ore dopo
la fatale disgrazia, le salme degli aviatori venivano rimosse e riunite in
una camera ardente.
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